Un medico migrante quasi italiano

Recensione del Dott. Giorgio Da Gai

Il libro di Ashraf Yacoub: “Racconti di un migrante ignoto”

(Danilo Zanetti Editore, 2024)

è una serie di racconti dove realtà e fantasia si mescolano, per consentire all’autore di narrare la propria esperienza di medico, di migrante e di uomo; descrivere il Paese di origine, l’Egitto.
Yacoub è un medico egiziano vive e lavora da molti anni in Italia, il nostro Paese potrebbe essere la sua Patria: “La tua patria è il posto da cui non hai più voglia di scappare” (Naguib Mahpuz, Scrittore egiziano Premio Nobel per la letteratura). La patria nel senso di Heimat termine tedesco che indica il focolare domestico, il luogo dove decidi di vivere pur provenendo da un Paese diverso. L’Italia è l’Heimat dell’autore? Solo lui potrà dirlo.
Per l’autore l’immigrato è una risorsa per il Paese di accoglienza e un’opportunità di crescita per chi emigra. Questo è vero, quando i migranti lavorano e rispettano le leggi e le tradizioni del Paese di accoglienza (integrazione) e i loro figli nati o cresciuti in Italia si sentono italiani (assimilazione). Diversamente, gli immigrati diventano una minaccia per il Paese di accoglienza e un costo a carico del servizio pubblico nazionale: sanità, istruzione, edilizia popolare, ecc. Un costo e una minaccia che nessun Paese ha il dovere di accogliere; ma il diritto di respingere quando è in gioco la sicurezza e il benessere nazionale. L’Egitto si rifiuta di accogliere le migliaia di palestinesi in fuga da Gaza, perché tra questi non ci sono solo donne e bambini; ma anche i combattenti di Hamas, organizzazione terroristica che il governo egiziano ha bandito. Se l’Egitto accoglierà i palestinesi in fuga da Gaza, farà la fine della Giordania e del Libano; che accogliendo i palestinesi dell’OLP si portarono la guerra in casa, accogliendo ospiti che poi si comportarono da padroni. Infine, l’Egitto non è nelle condizioni di assicurare un futuro dignitoso a oltre un milione di profughi, non lo assicura nemmeno ai propri cittadini che spesso sono costretti a emigrare.
In Europa i Paesi di più antica immigrazione, come Francia, Gran Bretagna, Svezia, Olanda e Danimarca scontano il passato coloniale e una suicida politica di accoglienza; con il proliferare di ghetti come il quartiere Molenbeek di Bruxelles covo degli jihadisti autori di attentati nella capitale belga e in quella francese; oppure il quartiere di Malmo in Svezia, o il distretto di Kolenkit di Amsterdam, al quale si aggiungono i mini-califfati sorti nelle “banlieue” francesi e nel Londonistan di Londra. Il nostro Paese è già avviato in questa direzione, grazie alla presenza di migliaia di stranieri dediti all’accattonaggio e al crimine; oppure, vittime di sfruttamento come la prostituzione e il caporalato.
L’esperienza di Yacoub è diversa da quella della maggioranza dei migranti che a frotte entrano illegalmente nel nostro Paese. L’autore è arrivato in Italia con un contratto di lavoro, parlava italiano e aveva già lavorato per il nostro Paese (l’Ospedale italiano del Cairo); inoltre, ad attenderlo c’era la fidanzata. L’esperienza dell’autore non è comune alla maggioranza dei migranti e quindi non è indicativa per descrivere il fenomeno dell’immigrazione; ma piuttosto per testimoniare l’esperienza di un uomo che ha avuto il merito e la fortuna di avere successo in un Paese straniero.
L’opera di Yacoub dai forti toni emotivi, descrive le “allucinazioni sensitive”, i suoni, gli odori e le atmosfere che ogni migrante porta con sé quando emigra: “Quando chiudevo gli occhi su un treno o un autobus, vedevo le strade del Cairo. Sentivo l’odore della taqliya e l’asprezza della molokhia, poi il profumo dei peperoni fritti mentre stavo salendo le scale del mio condominio a Milano. Sentivo la voce di Shadia o la voce di Najar mentre quella che cantava era Mina e cantava in italiano.” Analoghe sensazioni le prova chi rientra in Patria dopo aver viaggiato in un Paese straniero, non con il fine di visitarlo ma di viverlo e di conoscerlo, come ho potuto sperimentare nei miei viaggi in Brasile.
L’autore giudica la natura umana immutabile nello spazio e nel tempo: l’ingratitudine di Angela tanto meschina quanto incomprensibile; la perfidia della cleptomane Saniya; il dramma di Mohamed che affoga il rimorso nell’alcol; Giovanni, l’avido imprenditore del racconto “La Fabbrichetta” che costruisce la propria fortuna sfruttando i dipendenti; Mahmoud Bey il venditore di pelli, spregevole individuo dall’aspetto ripugnante; l’arrogante e stupido capitano Ashraf che il soldato Mahmoud farà cornuto.
Uguale è la natura umana nello spazio e nel tempo; ma diverse sono le fedi religiose, le norme e le abitudini dei popoli e dei ceti sociali, questo genera conflitti e pregiudizi: “L’amore per la pulizia, la bellezza e l’ordine, esiste nel cuore di tutte le persone, ma il livello di sentimento varia secondo le culture e dei livelli sociali”. E continua: “gli italiani sono molto interessati alla pulizia e alla bellezza e non si preoccupano nella stessa maniera dell’ordine. Mentre i popoli dell’Europa settentrionale si preoccupano della praticità delle cose e non della loro bellezza, adorano l’ordine, ma il livello di pulizia non è elevato se non negli ambiti della salute”.
L’autore racconta la propria vita: le vittorie e le sconfitte, le gioie e i dolori, le paure come quella di parlare in pubblico; la morte della madre, una vicenda dai contorni oscuri, la diffidenza e l’ostilità che l’autore ha percepito a causa della fede mussulmana. Una diffidenza che l’autore definisce impropriamente razzismo; in realtà si tratta di xenofobia, il timore verso lo straniero quando a torto o a ragione è percepito come una minaccia. Oggi l’Islam spaventa il mondo a causa della deriva estremista dei suoi fedeli; a pagarne le spese sono purtroppo tutti i mussulmani, anche quelli moderati. Non sola xenofobia ma anche l’ignoranza di chi confonde la cultura con la democrazia. Per gli occidentali tra i due termini esiste una relazione di causa-effetto e questo genera malintesi: “Gli arabi non hanno cultura”. Non è vero, Paesi come l’Egitto, l’Iran e la Cina hanno una cultura millenaria che non contempla la democrazia; la maggioranza della popolazione mondiale vive in Paesi governati da regimi autoritari. La democrazia è un aspetto tipico della cultura occidentale, che Stati Uniti ed Europa spesso usano per condizionare la politica dei Paesi dell’Asia, dell’Africa, dell’Europa Orientale e dell’America Latina. L’ipocrisia dell’Occidente.
L’autore con rara schiettezza denuncia i lati oscuri della cooperazione internazionale: il malaffare e la difficoltà di vivere in un Paese violento ed estraneo alla propria educazione. Il ritratto della Somalia descritta da Yacoub è di un Paese “incivile” dove la tradizione impedisce di eseguire il taglio cesareo anche per salvare la vita della madre o del bambino; dove è diffusa l’infibulazione (la mutilazione dei genitali femminili); dove la violenza non risparmia nemmeno chi si adopera per migliorare la condizione della popolazione locale, come Graziella Fumagalli la chirurga italiana stuprata e uccisa da una banda di somali (Merca 1995). Noi occidentali non abbiamo il diritto di imporre agli africani il cosiddetto “sviluppo” e nemmeno le nostre regole; ma nemmeno il dovere di accogliere chi non le rispetta, o lavorare in Paesi dove la cooperazione è impossibile, per la violenza o per la corruzione dei governi locali. L’autore rientra in Italia con una visione negativa delle organizzazioni di volontariato: “Temo che il loro scopo sia di raccogliere denaro da persone che vogliono par del bene, che vanno nelle tasche di un numero limitato di dirigenti e di organizzatori, mentre le briciole vanno a chi è veramente bisognoso. Temo che la verità sia che queste organizzazioni vivano sul collo dei volontari delle vittime, dei profughi e della povera gente.”.
Yacoub nei racconti descrive l’Egitto. Il dispotico regime militare che controlla la politica e l’economia egiziana; ma è l’unico baluardo alla deriva islamista del Paese. Il tesoro dimenticato del Monte di Marmo, che trasforma dei turisti italiani in improvvisati Indiana Jones. Lo spazio infinito del deserto è rappresentato dal quartiere di Abbassia nella città del Cairo, dove l’autore è nato e ha vissuto prima di trasferirsi in Italia. Un quartiere grande come una città, dove puoi, trascorre tutta la tua vita senza uscirne, completando l’intero ciclo di studi e trovando un lavoro ben retribuito.
Il soprannaturale è una presenza costante nei racconti di Yacoub: lo spirito malvagio della zingara che, come un brivido gelido, attraversa il corpo dell’autore in una notte afosa di luglio; la voce di Dio che spinge F. l’amico italiano tra i monti della Bosnia dove scoprirà la fede. L’aspetto mistico dei Balcani l’ho conosciuto quando viaggiando nell’ex Jugoslavia, mi sono spinto fino al monastero sufi di Blagaj in Bosnia o al monastero ortodosso di Ostrog in Montenegro.
La fede in Dio aiuta l’autore a superare i momenti più difficili della vita; Dio ha concesso a Yacoub il dono della fede. Perché non lo concede tutti, rimane un mistero.
All’autore gli spazi di Abbassia e del Cairo stavano stretti e quindi decide di emigrare. Un esodo che fara vivere all’autore una nuova infanzia, la gioia del bambino quando scopre il mondo sconosciuto che lo circonda; o quella del migrante che all’estero realizza i sogni in patria negati.
Il racconto “L’ospedale occhio e malocchio” è una satira sulla privatizzazione della sanità. Un servizio nato con lo scopo, di assicurare a tutti i cittadini, un efficiente servizio di prevenzione e di cura si trasforma in un giro di affari che ha come unico fine il profitto.
Perdonatemi la presunzione, voglio riassumere in una frase quello che potrebbe essere l’epilogo dell’esperienza del migrante Yacoub: “Amò l’Italia più di un italiano ma morì egiziano”. Chi emigra non può dimenticare le proprie origini, perché non siamo solo ciò che decidiamo di essere; ma anche il prodotto delle nostre esperienze, spesso accidentali come quella del Paese o della famiglia di nascita che condizioneranno la nostra vita. Non possiamo sfuggire al nostro destino, dobbiamo accettarlo nell’attesa di comprenderlo. Il destino che ha portato Yacoub in Italia è lo stesso che gli ha impedito di muovere i piedi e di correre incontro alla fidanzata Mona, per riallacciare una relazione interrotta. Scrivo questa recensione pensando che il destino mi ha fatto incontrare Yacoub, come altre persone che ho conosciuto e che conoscerò nella mia vita: “Al collo di ogni uomo abbiamo attaccato il suo destino e nel Giorno della Resurrezione gli mostreremo uno scritto che vedrà dispie­gato” (Il Corano, Sura XVII – 13).

l’autore Dr. Ashraf Yacoub egiziano di nascita ed italiano di adozione
con alla sua sinistra il Dott. Giorgio Da Gai
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