Giorgio Da Gai
Historia Limes Club Pordenone
Un attore che potrebbe “dividere” l’Italia e modificare gli equilibri internazionali.

La Kerneuropa è il nocciolo duro dell’Europa, un’area geoeconomica che comprende i Paesi che confinano con la Germania o ne sono legati da forti legami economici, politici e culturali: Austria, Olanda, Belgio, Lussemburgo, Danimarca Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia e Italia settentrionale (Limes 4/2017 pp 75-83). Un territorio che coincide approssimativamente con i confini dell’antico Impero carolingio.

Extent of Carolingian Europe

La Francia fa parte della Kerneuropa ma diversamente della Germania non guarda all’Europa, con la fine dell’epopea napoleonica ha rinunciato a guidare le sorti del nostro continente. Oggi la Francia si chiude a riccio in difesa dei propri interessi nazionali e punta all’Africa, una politica neocoloniale che investe i Paesi del Sahel (Senegal, Mauritania, Mali, Ciad, Burkina Faso, Nigeria e Niger) e l’Africa settentrionale (Libia). Solo il futuro potrà dirci quali saranno le relazioni tra Francia e Germania in un’Europa a guida tedesca. Due “galli” nello stesso “pollaio” finiscono sempre per litigare.

La confederazione è la forma di governo più adatta a realizzare la Kerneuropa, in tale modello le nazioni mantengono la propria sovranità, ma creano istituzioni comuni destinate a regolare il commercio, la difesa e la politica estera. Quello che doveva diventare l’Unione Europea, ma questo non è ancora accaduto. L’Unione Europea è sempre più divisa e incapace di elaborare una politica autonoma dagli interessi americani.

Il progetto politico della Kerneuropa nasce all’inizio degli anni 90, dalla mente di due politici tedeschi dell’Unione Cristiano Democratica: Wolfgang Schaeuble (ministro delle finanze del governo Merkel) e Karl Lamers. Il progetto attraversa due fasi un’inclusiva e l’altra esclusiva: nella fase inclusiva la Germania, si adopera per rafforzare e ampliare l’Unione Europea, includendo le nazioni dell’est Europa, ex Jugoslavia compresa; nella fase esclusiva la Germania, cerca di sottrarsi alla crisi europea, riunendo intorno a se i Paesi e le Regioni a lei più “vicini”. La fase esclusiva, rappresenta il piano B della Merkel per affrontare la crisi europea e per contenere la crescita di Alternativa per la Germania (Alternative fur Deutschland) il partito “populista” euroscettico e ostile all’immigrazione.

Il cuore della Kerneuropa è la Germania, la principale potenza economica dell’Europa. La Germania fino al 1990 era un docile strumento della Nato destinato a contrastare la minaccia sovietica. Con la riunificazione la Germania ha assunto un ruolo attivo nella scena politica internazionale: è intervenuta nel processo di dissoluzione della Jugoslavia, assumendo una posizione antiserba; sostiene una politica di rigore finanziario a danno delle nazioni troppo indebitate, i PIGS (Portogallo, Italia, Grecia e Spagna); si scontra con gli Stati Uniti per le sanzioni alla Russia e le sue esportazioni mettono in crisi il mercato americano suscitando le ire di Trump. La politica protezionistica di Trump ha come principale obiettivo le esportazioni tedesche e cinesi, questo allarga il solco tra Washington e Berlino. Vedremo quali saranno le conseguenze.

La Germania è una potenza regionale ma non globale come la Russia e la Cina. Le élite tedesche non sono mature per questa scelta storica, hanno una visione miope della politica: l’euro è stato per la Germania uno strumento per rendere più competitive le esportazioni tedesche e non per costruire un’unione di Stati. La politica estera tedesca è un misto di arroganza teutonica e di spietato egoismo (Grecia docet); una politica incapace di recidere il “cordone ombelicale” che la lega agli Stati Uniti. Con una diversa classe politica la Germania potrebbe costruire la Kerneuropa, questa sfida potrebbe essere raccolta da Alternative fur Deutschland partito sovranista e populista.

La Kerneuropa si propone come potenza continentale europea, per esserlo deve soddisfare le seguenti condizioni: dotarsi d’istituzioni politiche efficienti e autorevoli (l’opposto di quelle europee) dotarsi di un esercito proprio e di armi nucleari (questo significa l’uscita dalla Nato e la chiusura delle basi militari straniere) stabilire con la Russia e la Cina solide relazioni politiche, commerciali e culturali, solo così potrà affrontare le principali questioni internazionali (lotta al terrorismo, tutela dell’ambiente, immigrazione, soluzione dei conflitti internazionali, commercio globale).

La trasformazione della Kerneuropa da soggetto “economico” a “politico” modificherebbe la geopolitica dell’Europa e del mondo intero. Come spiego nel mio libro, Kosovo monito per l’Europa (Aviani Editore 2014)

la crisi generata dalla globalizzazione favorisce la disgregazione dell’Unione Europea e delle nazioni che la compongono. Una crisi che è politica, il declino degli Stati nazionali a favore dei poteri sovranazionali (FMI, Banca Centrale Europea, Commissione Europea, ecc.); economica, la delocalizzazione, la disoccupazione e il precariato; e infine sociale, l’immigrazione, il taglio dei servizi pubblici e degli ammortizzatori sociali. I popoli minacciati nell’identità, nella sicurezza e nel benessere si rifugiano nel secessionismo delle “piccole patrie”, nel nazionalismo antieuropeo (la Brexit) e votano per i partiti “populisti”. La Kerneuropa entrerebbe a pieno titolo in questo processo disgregativo, sia a livello di Unione sia di singoli Stati. Un processo disgregativo che potrebbe favorire la nascita di una nuova Europa, la distruzione come processo creativo e non autodistruttivo fine a se stesso.

La nascita delle Kerneuropa dividerebbe in due l’Europa: quella dei Paesi inclusi nella stessa e quelli esclusi dalla medesima. Tra gli esclusi troveremo i cosiddetti PIGS (Portogallo, Italia centro-meridionale, Grecia e Spagna): nazioni costrette ad accettare scelte dolorose per risanare le loro economie ed entrare in futuro nella Kerneuropa; nazioni destinate a subire un lento e inesorabile declino, trasformandosi in campi profughi per immigrati (Italia e Grecia), serbatoi di manodopera, o in colonie di potenze straniere (gli Stati Uniti). Una divisione che presuppone l’adozione di due monete diverse: una per i Paesi inclusi nella Kerneuropa (neuro) e una per quelli esclusi dalla stessa (euro). (Limes 7/2015). Tutte le ipotesi rimangono aperte. Una Kerneuropa estesa all’intera Europa è oggi impensabile; l’Europa è segnata da profonde divisioni che richiedono tempo per essere sanate. L’importante è evitare che tali divisioni assumano un carattere permanente e conflittuale, impedendo all’Europa di emanciparsi dall’influenza americana.

La nascita della Kerneuropa potrebbe avrebbe un effetto catalizzatore sulle pulsioni secessioniste delle “piccole patrie” a pagarne le spese sarebbero le nazioni “fragili”, quelle caratterizzate da profonde divisioni socio-economiche o divise da radicati sentimenti indipendentisti: Il Veneto e la Lombardia in Italia, la Catalogna in Spagna, la Scozia in Gran Bretagna.

La Kerneuropa potrebbe riconoscere e appoggiare queste pulsioni indipendentiste, quando funzionali ai propri interessi. L’Italia settentrionale e il Nord-Est sono molto legati alla Kerneuropa: nel 2016 la Germania è stata il primo partner commerciale dell’Italia con 116 miliardi d’interscambio di questi 87,6 si concentrano al Nord; il Nord è collegato alla Germania dall’autostrada Brennero-A1 e A4, al Nord il tedesco è la lingua più studiata dopo l’inglese, i tedeschi sono la prima nazionalità di turisti stranieri che visita le regioni settentrionali; in Italia ci sono 2035 imprese a guida tedesca, l’85% è al Nord. Attraverso il Nordest passa la Nuova via della seta, la rete di comunicazioni che unirà l’Asia all’Europa. (Limes 4/2017 pp 31-39)

Le pulsioni indipendentiste delle piccole patrie potrebbero scatenare nuovi conflitti in Europa: secessioni pacifiche come in Cecoslovacchia nel 1993, o violente come nei Balcani e in Ucraina. Il Veneto o la fantomatica “Padania” dichiarano l’indipendenza, la Kerneuropa la riconosce per inglobare nella propria sfera d’influenza un’area ricca e strategica; il nostro governo si oppone, ma l’Italia non ha il peso politico della Germania e invoca l’aiuto degli Stati Uniti. Questi ultimi scendono in campo per mantenere le loro basi in Europa e impedire la nascita di una potenza euroasiatica. In questo ipotetico scenario gli Stati Uniti sono costretti a cercare nuovi alleati in Europa. I Paesi esclusi dalla Kerneuropa potrebbero stringere le loro relazioni con gli Stati Uniti in cambio di un cospicuo sostegno finanziario (Spagna, Portogallo, Grecia, ecc.); o per evitare di essere schiacciati dalla Germania o dalla Russia (Polonia, Romania, Paesi Baltici). L’Europa si trasformerebbe in un potenziale campo di battaglia tra potenze che utilizzano gli alleati locali per contendersi l’Europa: da una parte il polo euroasiatico che unisce la Kerneuropa, la Russia e la Cina; dall’altra gli Stati Uniti e i loro alleati europei. Oggi tutto questo è fantapolitica, ma domani?

La nascita della Kerneuropa segnerebbe la fine dell’egemonia statunitense sull’Europa e quindi sull’intero Pianeta. Tutta la geopolitica si fonda sul seguente principio: chi domina l’Eurasia domina il mondo (Zbigniew Brzinski: “La grande scacchiera” 1997). Un polo geopolitico o una nazione che domina l’Eurasia concentra nelle proprie mani la maggioranza delle risorse energetiche, delle imprese e della popolazione del Pianeta: i giacimenti energetici del Medio Oriente e dell’Asia centrale; le economie dell’Asia e dell’Europa, miliardi di abitanti. Il ruolo dell’Eurasia nel controllo del mondo è contenuto nella teoria dell’Heartland (il cuore dell’Eurasia) il territorio occupato dall’ex Unione Sovietica; e in quella del Rimland (la fascia costiera dell’Eurasia) il territorio che si estende dall’Europa all’Estremo Oriente, passando per il Medio Oriente.

La teoria dell’Heartland fu esposta da Halford Mackinder nell’opera:“The Geographical Pivot of History” (1904) :«chi tiene l’Europa orientale comanda l’Heartland, chi tiene l’Heartland tiene l’isola del mondo, chi tiene l’isola del mondo comanda il mondo», il geografo inglese non pensava agli Stati Uniti ma all’Impero Britannico; la cui egemonia era minacciata dalle potenze emergenti di Russia, Giappone e Germania. La Teoria del Rimland è una rivisitazione di quella dell’Heartland, cambia la parte dell’Eurasia presa in considerazione. Per il suo ideatore, il politologo americano Nicholas John Spikman:«chi domina il rimland controlla l’Eurasia, chi controlla l‘Eurasia controlla i destini del mondo» (1938 -1943). Le teorie dell’Heartland e del Rimland hanno guidato la politica estera americana del secolo scorso e continuano a guidarla.

Il National Intelligence Council USA, organo strategico dell’intelligence USA, prevede che entro il 2035 l’Europa uscirà dalla sfera d’influenza atlantica per passare in quella euroasiatica (Paradox of Progress. In: https://www.dni.gov/index.php/global-trends-home). Gli Stati Uniti faranno di tutto per impedirlo. Gli Stati Uniti hanno combattuto due guerre mondiali e quella “fredda”, per impedire che in Europa nascesse una grande nazione capace di unire le risorse energetiche della Russia con la potenza industriale della Germania. Hitler lo aveva capito e invase l’Unione Sovietica con questo preciso obiettivo. Non a caso, dalla Prima Guerra Mondiale, l’incubo di ogni Amministrazione americana, repubblicana o democratica, è l’emergere di una potenza europea filorussa e a guida tedesca. La rivalità tra Stati Uniti e Germania ha carattere strutturale e non occasionale, rimarrà tale fino a quando l’America pretenderà di controllare il mondo e la Germania di sottrarsi a tal egemonia, da sola o legandosi alla Russia o ad altra potenza globale.

I popoli europei devono temere l’egemonia americana e non quella russa o cinese. Dico questo per tre ragioni.

Primo, gli Stati Uniti sono l’unica potenza globale che ancora occupa militarmente l’Europa, ne condiziona le scelte politiche e lo stile di vita (americanizzazione); questa situazione di sudditanza-colonizzazione non poteva essere evitata quando sull’Europa incombeva la minaccia sovietica, ora che tale minaccia è cessata, è il caso di prendere in mano il nostro destino.

Secondo, gli Stati Uniti sono l’unica nazione che ha i mezzi per dominare il Pianeta: ha l’esercito più potente del mondo, ha una grande industria manifatturiera, è energicamente autosufficiente, è al primo posto per la ricerca scientifica e tecnologica, è ricca di risorse naturali e di terra coltivabile, occupa una posizione geografica favorevole (non ha nemici ai confini ed è protetta dall’oceano). La Cina e la Russia prese singolarmente non hanno tutto questo: la Russia e la Cina sono geograficamente vulnerabili (la Russia è una grande pianura priva di difese naturali, la Cina è facili da isolare con un blocco navale, ambedue confinano con potenti vicini che in passato ne hanno minacciato la sopravvivenza); la Cina è carente di risorse energetiche e di terre coltivabili per sfamare la numerosa popolazione; la Russia ha un industria manifatturiera debole (le uniche eccezioni sono l’industria militare e aereo-spaziale) occupa il quindicesimo posto nella graduatoria mondiale (dati Confindutria 2016 In: http://www.askanews.it/economia/2017/11/08/confindustria-italia-resta-settima-in-classifica-manifatturiero-pn_20171108_00025/); la popolazione russa diversamente da quella cinese e americana non ha una cultura imprenditoriale; la Cina e la Russia non hanno la forza militare degli Stati Uniti, questa disparità è evidente nel settore aereo-navale e nel numero di basi militari diffuse nel Pianeta. La Cina ha una sola base militare a Gibuti; la Russia ne ha dieci, sette sparse nelle ex repubbliche sovietiche (Armenia, Tagikistan, Kirghizistan, Kazakhstan, Abcasia, Ossezia del Sud e Bielorussia) e tre in Siria (Tartus, Lataqia e Humaymim); gli Stati Uniti ne hanno circa 686.

Terzo, gli Stati Uniti sono una potenza marittima (talassocrazia) il loro spazio geopolitico non ha confini perché si estende al Mondo intero attraverso i mari e gli oceani; Russia e Cina sono potenze terrestri (tellurocrazie) la loro sfera d’influenza è circoscritta da confini tracciati dalla natura e dall’uomo che variano nel tempo senza assumere una dimensione planetaria.

La Kerneuropa è una potenza terrestre. Nel libro “Terra e Mare” (1942) il giurista e politologo tedesco Carl Schmitt (1888-1985) interpreta la storia e la geopolitica come uno scontro tra potenze marittime e terrestri. Lo scontro tra queste potenze è all’origine della storia umana, basti pensare alla rivalità tra Roma e Cartagine. L’Inghilterra potenza talassocratica conquistò la supremazia sui mari e creò un grande Impero che si estendeva sul mondo intero; l’Impero Britannico durò secoli, dalla fine del sedicesimo secolo agli anni della decolonizzazione che seguirono la fine della Seconda Guerra Mondiale. Altre nazioni europee cercheranno di emulare gli inglesi nella conquista dei mari (Spagna, Portogallo, Francia, Olanda e Belgio) ma non divennero mai una talassocrazia come l’Inghilterra. Gli Stati Uniti occuperanno il posto della potenza britannica, rivendicando non solo l’egemonia sulle Americhe con la “dottrina Monroe” (1823) ma anche la supremazia sui mari e quindi sull’intero Pianeta. Le fasi di questa espansione saranno essenzialmente due: la prima coinciderà con la fine della Seconda Guerra Mondiale e includerà nella sfera di influenza americana l’Europa Occidentale e il Giappone; la seconda, coinciderà con il crollo dell’URSS ed estenderà l’influenza americana all’intero Pianeta. Nel 1992 il politologo americano Francis Fukuyama pronosticò la fine della storia: il trionfo degli Stati Uniti come potenza egemone del Pianeta e del loro modello politico-economico (neoliberismo e democrazia liberale). Una previsione che si rilevò errata come il trionfo del socialismo.

Per Schmitt l’espansionismo americano è pericoloso perché illimitato e fondato su un principio di superiorità morale: illimitato, per il carattere marittimo della potenza americana; moralmente superiore perché gli Stati Uniti si sentono una nazione scelta da Dio per difendere e diffondere libertà e giustizia in ogni angolo del Pianeta. In tale veste ogni loro guerra diviene moralmente giusta. Questa posizione ideologica ha origine nel calvinismo professato dai Padri Pellegrini fondatori della nazione americana e continua fino ai nostri giorni. Una forma distorta di spirito messianico che si presta ad arbitrarie interpretazioni e a manichee posizioni.

A mettere in crisi le aspirazioni imperiali di Washington sono i seguenti fattori: l’ascesa politica, economica e militare di potenze globali come la Russia e la Cina, o di potenze regionali come la Turchia, l’Iran e la Germania; gli esiti disastrosi della politica estera americana (Afghanistan, Iraq, Libia, Siria, Ucraina); i costi politici ed economici della politica “imperiale” americana (migliaia di morti e miliardi di dollari) sono difficili da sopportare anche per una potenza come l’America. Gli Stati Uniti sono un impero in crisi ma nessuno ha la forza o la convenienza di attaccarlo: primo, perché gli Stati Uniti sono la prima potenza militare e uno scontro con la stessa innescherebbe la Terza Guerra Mondiale; secondo, perché Cina, Germania e Giappone vantano nell’ordine i primi tre surplus commerciali con gli Stati Uniti; terzo, perché le potenze emergenti considerano il declino americano inesorabile, anche se lento, quindi attendono pazienti che la storia faccia il suo corso.

Oggi la Russia e la Cina formano un polo geopolitico (alleanza strategica di più nazioni) che si oppone agli Stati Uniti; ma non è abbastanza forte da assumere il controllo dell’Eurasia. Russi e cinesi non hanno alleati in Europa; quest’ultima, grazie alla Nato è legata agli Stati Uniti e succube dei loro interessi che spesso divergono da quelli europei (le sanzioni alla Russia, le “guerre umanitarie” che hanno destabilizzato l’Africa e l’Asia). La nascita in Europa di un grande attore internazionale autonomo dagli Stati Uniti potrebbe spostare l’ago della bilancia a favore del polo russo-cinese. L’attuale assetto geopolitico sarebbe modificato: da unipolare a guida americana, diverrebbe multipolare e privo di una potenza egemone. Un contesto geopolitico composto da più potenze globali e regionali che agiscono nell’ambito delle rispettive aree d’influenza, alternando fasi di cooperazione a fasi di competizione.

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