di Giuseppe Longo

Il gioco dell’oca? Mi ricorda tanto la politica inconcludente di queste giornate. Che però mi fa tornare in mente, forse più significativamente, anche il “Facite ammuina” (cioè fate confusione) di borbonica memoria, tanto cioè per darla ad intendere. Poi qualcosa succederà.
Qualcuno, tentando di giustificare quanto sta accadendo, potrebbe dire che a Berlino ci hanno messo sei mesi per raggiungere un’intesa e tornare alla Grosse Koalition. Ma poi ce l’hanno fatta. E sicuramente funzionerà perché quelli sono tedeschi e badano al sodo più che alle chiacchiere. Noi invece siamo italiani, o meglio latini, appassionati anche di bizantinismi.
Qui si preferisce appunto fare “ammuina” – una parola che Luigi Di Maio dovrebbe ben conoscere essendo campano -, dire e fare tutto e il contrario di tutto, così da tornare alla casella iniziale da cui si è poi costretti a ripartire. Come, appunto, nel gioco dell’oca.
Ed è proprio quello che sta accadendo. Questo mese abbondante che ci separa dalle elezioni politiche – che peraltro hanno dato un risultato che pure un bambino avrebbe previsto, con annessa impossibilità di formare una maggioranza parlamentare degna di tale nome, grazie all’ingegnoso Rosatellum – non è servito a nulla, se non almeno a chiarire meglio i rapporti di forza tra i partiti usciti dalle urne. Così, il primo giro di consultazioni al Quirinale, come pure largamente previsto, non ha dato alcun esito. Per cui il presidente Mattarella – “prigioniero” di un estenuante rituale, come l’ha ben tratteggiato l’altra sera Maurizio Crozza – sarà costretto a ricominciare la liturgia e la porta dello studio alla Vetrata sarà ancora protagonista. Ma ci sarà una novità (per fortuna almeno una!): il Centrodestra andrà unito e non a tre riprese come la scorsa settimana. Merito di Matteo Salvini o di Silvio Berlusconi? Le tesi sono contrastanti e poco importa a chi attribuirne la paternità. E oggi ci sarà un vertice ad Arcore in vista della nuova salita al Colle.
Appare subito evidente che questa mossa spariglia le carte e, in un certo modo, spiazza i Cinque stelle che puntavano a un accordo privilegiato con Salvini, il quale però si è reso conto che strategicamente non può rompere l’asse con il Cavaliere (o ex che dir si voglia) e Giorgia Meloni. Tanto che Di Maio torna ad ammiccare al Partito democratico e in particolare ai fedelissimi di Matteo Renzi (che però hanno già nuovamente risposto picche!), ai quali, come alla Lega, vorrebbe propinare il “contratto alla tedesca”, pretendendo ancora una volta di essere lui a condurre il gioco in virtù del suo 32 per cento, quando invece un tantino di umiltà e di rispetto per gli altri, perché in un sistema proporzionale tutti hanno pari dignità indipendentemente dal peso in Parlamento, gli consiglierebbe di muoversi con più cautela senza discriminare alcuno: “Io non riconosco il Centrodestra”, tanto per citare l’esempio più eclatante.
E proprio in base a come si stanno muovendo le cose, mi pare di concludere che il contratto Di Maio può attendere. Anche perché Roma, osservavo all’ inizio, non è Berlino.
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Una versione del gioco del XVII secolo
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